La povertà dei minori ha effetti di lungo termine, comporta disagi e deprivazioni immediate e maggiori rischi di povertà ed esclusione sociale per gli adulti di domani. Già a 3 anni è rilevabile uno svantaggio nello sviluppo cognitivo, sociale ed emotivo dei bambini provenienti da famiglie più disagiate e in assenza di interventi adeguati entro i 5 anni il divario aumenta ulteriormente. Eppure in Italia la lotta alla povertà infantile è ancora inefficace, con una spesa insufficiente e impegnata in buona parte per trasferimenti economici, nonostante l’inefficacia dimostrata di queste soluzioni. Nel 2012 l’impatto dei trasferimenti sociali in termini di riduzione del rischio di povertà tra i minori (0-17enni) italiani era di gran lunga inferiore all’impatto medio europeo: -7,1 contro -13,8 punti percentuali.
Studi internazionali mostrano come la disponibilità di servizi per la prima infanzia contribuisca notevolmente a ridurre la povertà dei bambini. È noto anche che i servizi socioeducativi consentono la conciliazione famiglia/lavoro, facilitano lo sviluppo cognitivo e relazionale per i bambini, soprattutto per quelli che provengono da contesti familiari svantaggiati, riducendo le disuguaglianze legate alle diverse opportunità di cui godono bambini provenienti da diversi contesti socio-economici familiari e attenuando così le dinamiche di trasmissione intergenerazionale della povertà. Offrono inoltre possibilità di nuova occupazione, soprattutto femminile, innescando processi virtuosi di sviluppo economico e sociale.
Ma la realtà in Italia è un’altra. Secondo l’Istat, nell’anno scolastico 2012/2013 soltanto il 13,5% dei bambini 0-2 era in carico a servizi socio educativi, in buona parte (12,3%) presso asili nido comunali. Non bastano più i rapporti e le pubblicazioni e neppure le dichiarazioni condivise e le convenzioni internazionali. Anzi evidenziano la schizofrenia istituzionale che stiamo vivendo: da un lato proliferano le dichiarazioni a sostegno della centralità dell’infanzia e dell’adolescenza e dall’altro sono messe in campo politiche che non si curano della quota più giovane della popolazione. È necessario ripartire, ma da dove? È possibile pensare a nuove forme di lotta alla povertà infantile, cercando soluzioni che rendano effettiva l’esigibilità dei diritti per l’infanzia, con approcci di “welfare generativo”, volti a produrre un maggiore rendimento sociale dalle risorse impiegate, a vantaggio di tutti, a partire dai bambini.
Una precondizione necessaria a realizzare tale cambiamento è un deciso investimento in servizi per i bambini: l’Europa si è espressa nettamente in questa direzione e gli studi sulla valutazione dell’efficacia redistributiva dei servizi all’infanzia confermano la necessità di convertire la spesa per trasferimenti diretti in spesa per servizi. Mentre una erogazione monetaria alle famiglie con figli presume che le risorse erogate siano spese a vantaggio dei minori, evenienza che non è detto si verifichi, orientare la spesa per la fornitura di servizi specificamente diretti a bambini “centra” l’intervento sui loro bisogni, rendendoli i primi beneficiari delle risorse spese.
Come promuovere, in un’ottica di welfare generativo, un maggiore rendimento, una maggiore efficacia e un maggiore impatto sociale della spesa attuale, a saldi invariati? Ad esempio destinando una parte degli attuali trasferimenti pubblici per assegni familiari (che valgono circa 6,5 miliardi all’anno) a un fondo di investimento per la prima infanzia. Ai genitori non verrebbe tolto un diritto ma proposto di trasformarlo in investimento con un ritorno a vantaggio prima di tutto dei propri figli. _Trasformare 1,5 miliardi di assegni familiari in asili nido, potrebbe raddoppiare il numero di bambini 0-2 anni presi in carico (aumentandolo di 200mila unità), con un correlato incremento del numero di addetti (circa 40mila nuovi occupati). I bambini avrebbero garantita alimentazione adeguata, socializzazione, migliore sviluppo cognitivo. Non solo: oltre ai vantaggi diretti per i bimbi e i genitori, si determinerebbero benefici estesi alla comunità di riferimento, per l’aumento di occupazione determinato, ed il conseguente aumento della ricchezza prodotta e dei servizi disponibili.
Questa proposta prefigura scenari di welfare alternativi a quello che conosciamo. Si tratta di una simulazione “a risorse invariate”, quindi possibile anche in tempi di crisi, per contribuire a uscirne. È un invito a formularne altre coerenti con soluzioni di “welfare generativo”, per concorrere a una rinnovata capacità di sviluppo umano e sociale, con un cambio di passo che parta dai più piccoli.
Devis Geron, Elena Innocenti, Fondazione Emanuela Zancan Onlus