E’ il nostro un tempo di scenari inediti e drammatici ed insieme di grandi opportunità se guardiamo alla povertà dei bambini e delle bambine.

Nel 2021 in Italia poco meno di 1,4 milioni di bambine e bambini, ragazze e ragazzi si sono trovati in una situazione di povertà assoluta. Un numero mai raggiunto da quando, nel 2005, ISTAT ha iniziato a misurarla. L’incidenza della povertà assoluta tra i minori peggiora di 3 punti rispetto al 2019, prima del covid. Oggi nel nostro Paese un bambino rischia molto di più rispetto ad un adulto e moltissimo di più rispetto ad un anziano di vivere condizioni di povertà severa e perdurano i grandi divari territoriali in fatto di povertà minorile, non solo tra Nord e Sud, ma anche tra territorio e territorio lungo la nostra Italia.

Parlare di povertà dei bambini, significa inevitabilmente parlare di povertà delle famiglie.

Le famiglie con minorenni in povertà assoluta sono oltre 762mila, con un’incidenza del 12,1% che aumenta al crescere del numero di figli minori, toccando il 20,1% per i nuclei con tre o più figli minori e tra le famiglie monogenitore con minorenni (11,5%).

Pesano sulle condizioni di povertà la condizione lavorativa e la cittadinanza. La percentuale delle famiglie straniere con minorenni, infatti, in condizione di povertà assoluta è oltre  4 volte quella degli italiani (36%).

Altre dimensioni restituiscono più chiaramente l’immagine multidimensionale delle vulnerabilità dei minori in povertà: la povertà alimentare (nel 2020 il 2,8% dei minorenni non consuma un pasto proteico al giorno, con enormi divari territoriali), la povertà abitativa (nel 2019, il 41,6% dei minorenni viveva in abitazioni sovraffollate), la povertà educativa con la preoccupazione per un ulteriore learning loss connesso alla situazione pandemica.

I dati, ampiamente illustrati nel 12° Rapporto del Gruppo CRC trovano conferma nel recente rapporto di Caritas Italiana su povertà ed esclusione “l’anello debole”, nel quale è stato particolarmente investigato lo scandalo della povertà ereditaria, dei cosiddetti “pavimenti e soffitti appiccicosi”, “sticky grounds e sticky ceilings”, ovvero le scarse possibilità per chi si colloca nelle posizioni più svantaggiate della scala sociale di accedere ai livelli superiori.

Nel nostro Paese il raggio della mobilità ascendente risulta assai corto e sembra funzionare prevalentemente per chi proviene da famiglie di classe media e superiore.

Secondo lo studio condotto su un campione rappresentativo di beneficiari Caritas, il rischio di rimanere intrappolati in situazioni di vulnerabilità economica per chi proviene da un contesto familiare di fragilità è di fatto molto alto.  Complessivamente nelle storie di deprivazione intercettate, i casi di povertà intergenerazionale pesano quasi 6 volte su 10.

Il nesso tra condizione di vita degli assistiti e condizioni di partenza si palesa su vari fronti oltre a quello economico ed in particolare nell’istruzione. Le persone che vivono oggi in uno stato di povertà, nate tra il 1966 e il 1986, provengono per lo più da nuclei familiari con bassi titoli di studio, in alcuni casi senza qualifiche o addirittura analfabeti (oltre il 60% dei genitori possiede al massimo una licenza elementare). E, sono proprio i figli delle persone meno istruite a interrompere gli studi prematuramente, fermandosi alla terza media e in taluni casi alla sola licenza elementare. Anche sul fronte lavoro emergono degli elementi di netta continuità: circa un figlio su cinque ha mantenuto la stessa posizione occupazionale dei padri e il 42,8% ha invece sperimentato una mobilità discendente (soprattutto tra coloro che hanno un basso titolo di studio.

Non possiamo non percepire dunque l’urgenza di una riflessione condivisa sul tema dell’ereditarietà della povertà.

E’ importante insistere su un approccio non meramente assistenzialistico, ma puntare su quei fattori che possono giocare un ruolo determinante per invertire le traiettorie di povertà che sembrano già segnate. I contesti di origine non possono dirsi neutri riguardo alla mobilità sociale, tuttavia tra i determinanti di questa mobilità, giocano un ruolo anche elementi di natura macro-sociale, l’andamento del ciclo economico e le politiche pubbliche. Oculate politiche sociali, integrate e promuoventi, possono contrastare le disuguaglianze e tracciare concreti percorsi per favorire una maggiore equità e giustizia sociale, a partire dall’attenzione precipua per l’istruzione e il sostegno delle fragilità. Se la mobilità tende ad essere più debole proprio nelle società dove esistono maggiori disparità di reddito, intervenire con politiche redistributive e sociali può migliorare il livello di dinamismo sociale all’interno della nostra democrazia, rafforzando la coesione sociale e al contempo agendo in modo positivo anche sulla stessa crescita economica.

 

Federica De Lauso e Donatella Turri, Caritas Italiana

 

Leggi il rapporto “L’anello debole”

 

Per approfondimenti si veda anche: https://gruppocrc.net/area-tematica/standard-di-vita/