Di fronte ai numeri e alle multi problematicità che caratterizzano il fenomeno della povertà educativa e dell’abbandono scolastico in diversi contesti locali e soprattutto in aree a grave fragilità educativa, si sono sviluppate alleanze dal basso che attraverso fitte collaborazioni tra scuole, civismo attivo, Enti Locali e, spesso, privato e operatori culturali hanno reagito alla crisi educativa. Trovando nel duplice intreccio, scuola/territorio, curriculare/extra-curriculare la chiave della loro capacità di impatto sui problemi e sulle fragilità degli studenti. Sapendo che migliorare la capacità di accogliere i più fragili significa migliorare la scuola per tutti e tutte.  E, ancora, che spesso sono i proprio i “margini” i luoghi da cui la realtà si vede meglio e nella sua interezza.

Alleanze che hanno assunto piena consapevolezza di come la fragilità educativa si intreccia e prende corpo nelle povertà materiali, sociali e culturali di famiglie e contesti e che, per questo, hanno provato ad accettare la sfida della complessità partendo dal favorire il reciproco riconoscimento tra scuola (al centro e attore primo della funzione educativa, ma non sufficiente) e territorio (inteso come luogo di soggetti differenti resi consapevoli che la responsabilità educativa è responsabilità pubblica e collettiva).

È in questo quadro che molte di queste alleanze hanno scelto di guardare ai “patti educativi di comunità” come possibile sbocco del loro fare comune. Individuando nei “patti” la possibilità di sistematizzare un insieme di pratiche e metodi in grado di favorire un’uscita in avanti della scuola dalla crisi degli ultimi due anni.  Scommettendo sul fatto che i patti stessi possano diventare “un luogo concreto e ideale” non solo per arginare processi di abbandono e fallimento formativo, ma anche per immaginare e dare sostegno a nuove modalità di educare e fare scuola.

Dall’analisi di molte di queste esperienze e da una ricerca azione realizzata dal ForumDD su 15 diversi territori nazionali ha preso le basi il vademecum prodotto dalla Rete “EducAzioni”: “Costruire Ponti per un Futuro Inclusivo. I Patti di Comunità per un’Alleanza Educativa”, presentato con un evento il 6 ottobre scorso a Roma.

Il vademecum non ha la pretesa di essere assunto come modello declinabile dall’alto nei diversi contesti (sarebbe un errore grave dettato da una ingiustificabile presunzione quella di poter pensare di fare dovunque le stesse cose in un Paese così eterogeneo come il nostro), ma si propone di offrire alcuni indirizzi e possibili piste di lavoro sia per evitare il rischio di confusioni e di usare il concetto di “patto educativo” per descrivere tutto e il contrario di tutto, sia per evidenziare alcuni ambiti di attività che poi, ovviamente, vanno declinati territorio per territorio con l’obiettivo di rispondere al meglio ai fattori e alle determinanti che in ogni diverso contesto alimentano le situazioni di povertà educativa.

Per questo il vademecum, prima di offrire indicazioni su come costruire in positivo un patto, mette in evidenza anche quello che “non sono i patti educativi di comunità”. I patti non sono luoghi che possono essere pensati come “svuotamento della scuola”, ma al contrario luoghi che attivano un processo che rafforza e valorizza la scuola pubblica, come laboratorio sociale e di comunità, in un’idea di scuola che si lascia attraversare dal territorio e che per questo sa progettare l’offerta educativa ampliando le opportunità di apprendimento e di crescita personale. E, ancora, non sono luoghi per vincere progetti, ma spazi in cui si prova, attraverso una mappatura delle mancanze/bisogni, ma anche delle risorse a mettere a sistema i diversi interventi e le differenti risorse; a valorizzare le pratiche migliori; a individuare i bisogni inevasi per provare a proporre nuovi interventi.

Tornando, invece, alle indicazioni che appaiono come “punti di forza trasversali” nelle diverse esperienze studiate o incontrate emergono le seguenti indicazioni. Un primo elemento importante è quello di attivare un processo che, pur in una molteplicità di attori coinvolti, rafforzi e valorizzi la scuola pubblica, come laboratorio sociale, comunità di partecipazione democratica, in primis aiutandola a farsi comunità. In un’idea di scuola che intrattiene una fitta rete di rapporti con il territorio e che per questo sa progettare l’offerta educativa ampliando le opportunità di apprendimento e di crescita personale, in primis riconoscendo e intrecciando gli apprendimenti formali con quelli non formali e informali.

Una seconda indicazione è quella di assumere come priorità la cura delle situazioni di maggiore fragilità (bisogni educativi speciali, alunni con background migratorio con forti difficoltà linguistiche, persone con diversa abilità, situazioni di povertà educativa, abitativa e materiale) per non lasciare indietro nessuno e per garantire a tutte e a tutti le stesse opportunità educative e di cittadinanza.

Un terzo punto riguarda la capacità di favorire il protagonismo e la partecipazione attiva di alunni e alunne e delle famiglie, nonché le relazioni e la qualità degli spazi pubblici all’interno della comunità educante.

Una quarta indicazione riguarda i processi di relazione tra soggetti interessati alla costruzione dei patti. Va ripristinata un’idea di governance integrata dove la funzione pubblica delle politiche educative sia vissuta come luogo di gestione collettiva e paritaria tra scuole, enti locai e soggetti del civismo attivo e del privato sociale. Questi ultimi oggi pensati troppo spesso in un ruolo ancillare e pericoloso sia perché nei fatti ne svuota la natura, sia perché accettare tale impostazione significa colludere con il rischio di smantellare la scuola repubblicana pubblica, unica e uguale per tutte e tutti.

Ma il vademecum prova anche a indicare una possibile strada per individuare le politiche nazionali che servirebbero per mettere a sistema le tante positive esperienze che in questi anni hanno saputo arginare e intervenire sul tema della povertà educativa. Perché anche le più straordinarie tra loro non si possono più accontentare di quanto finora fatto. Per dirla con una provocazione non si devono accontentare, pena la loro perdita di potere istituente e innovativo, dello straordinario ma chiedere politiche e programmazioni pubbliche, a livello nazionale e locale, in grado di trasformarle in ordinario, in un sistema diffuso e strutturato di politica pubblica.

Quello che serve, per evitare il rischio che quanto di quello che oggi si fa rimanga sperimentazione infinita, è una vera e propria inversione a “U” delle politiche pubbliche. Questo significa, in generale, che il tema della scuola e dell’educazione deve tornare a essere una priorità delle politiche nazionali pensando a tale campo non come un qualche cosa che viene dopo lo sviluppo ma come suo stesso presupposto. In termini più specifici il Ministero dell’Istruzione e del Merito dovrebbe da una parte promuovere per davvero la co-progettazione territoriale come sede di declinazione degli interventi e delle diverse attività (a partire dal riconoscere per davvero e non solo in termini di competizione di mercato l’autonomia delle scuole), d’altra parte superare la logica dei finanziamenti a pioggia che alla fine producono interventi precari, confusi, sovrapposti che poco servono soprattutto alle ragazze e ai ragazzi che dovrebbero coinvolgere e prendere in carico.

 

A cura di Andrea Morniroli, Forum DD e Rete EducAzioni

 

Per approfondimenti si veda:

Il Documento di sintesi sui Patti Educativi

La registrazione dell’evento della Rete EducAzioni “Costruire Ponti per un Futuro Inclusivo. I Patti di Comunità per un’Alleanza Educativa