Durante la COP27 a Sharm el-Sheikh, nel padiglione “Youth and Children” c’è un countdown che segna “- 6”. È il climate clock, un orologio che indica quanti anni, giorni, ore e minuti l’umanità ha ancora a disposizione prima di una catastrofe climatica irreversibile. È lo stesso orologio che da anni torreggia su Union Square a New York.
“Sei anni non possono più essere considerati come futuro. Sei anni sono il presente, il nostro presente”: così Sofia Torlontano, attivista del Movimento Giovani per Save the Children, conclude il suo intervento all’evento “Empowering Youth for their Meaningful Partecipation”, organizzato da Save the Children stesso nel Padiglione Italiano alla COP27.
Non è la prima volta che sentiamo queste frasi: oramai in tutti gli eventi o le conferenze che abbiano come argomento centrale il clima la prima cosa che viene menzionata è che saranno le nuove generazioni a pagare gli effetti più gravi del cambiamento climatico. Non è una novità e nessuno si stupisce più quando viene fatta menzione delle sfide che andranno combattute con armi di difesa inadeguate.
La COP27 ha fatto la storia per essere stata la prima conferenza dei Paesi UNFCC a dedicare un intero padiglione ai giovani: nell’organizzazione dell’evento la presidenza egiziana ha sottolineato come il coinvolgimento delle nuove generazioni fosse una delle aree principali su cui focalizzarsi, inserendo nelle due settimane dei lavori anche una giornata tematica dal nome “Youth and Future Generation Day” e dando spazio a rappresentanti e associazioni giovanili.
Questo è un grande passo avanti se prendiamo in considerazione la Pre-COP 26 e la COP26, che si sono tenute rispettivamente a Milano e a Glasgow nel 2021 e in cui era ben distinguibile un “dentro” e un “fuori” il processo decisionale, quest’ultimo caratterizzato dai giovani, gli attivisti e la società civile.
Sarà che a Sharm el-Sheikh un “fuori” non esisteva, non nell’atto pratico: la conferenza è stata organizzata in un centro congressi all’interno di uno spazio turistico, quindi non era effettivamente presente una rappresentanza dell’opinione pubblica da mobilitare o una città da far uscire di casa in segno di protesta o, perché no, di approvazione.
Ma sta di fatto che, almeno questa volta, nel processo decisionale i giovani c’erano.
Eppure la presenza dei giovani, seppur aumentata nel corso degli anni, è ancora scarsa nei processi decisionali inerenti alle azioni per il clima. Questa scarsa partecipazione porta a quello che possiamo definire un cortocircuito istituzionale: i giovani si stanno prendendo un po’ di spazio, un passo alla volta, ma la voglia di partecipare continua ad aumentare ed è sempre di più rispetto a quella che viene effettivamente concessa dai “piani alti”. Per non parlare del fatto che spesso gli spazi che vengono concessi non sono istituzionalizzati, sistematici, e corrono il rischio di trasformarsi in una delle tante forme possibili di youth-washing, l’uso dei giovani come un mero atto performativo.
C’è una grande distanza tra ciò che chiedono le piazze e ciò che si discute nei negoziati internazionali: la spaccatura tra le decisioni dei governanti e l’opinione pubblica giovanile esiste, è davanti ai nostri occhi, e ci vorranno diversi anni perché le cose possano cambiare. Ciononostante, nell’ultimo anno sono stati messi a disposizione dei giovani degli strumenti di partecipazione da non dare per scontati, delle armi pacifiche che potrebbero davvero cambiare il mondo.
Uno di questi è la Youth4Climate, un’iniziativa globale co-guidata dal Governo italiano e dallo United Nations Development Programme (UNDP) e creata al fianco dei giovani e di altri partner strategici. La Youth4Climate, prevista inizialmente come un evento una tantum, è stata resa annuale grazie ai fondi stanziati nel 2021 dal MiTE e può ora parlare al futuro ed esprimere la sua visione strategica a lungo termine, orientata a promuovere un’azione per il clima che sia realmente guidata dai giovani.
In un mondo ideale i giovani dovrebbero essere considerati un alleato naturale dei decision maker nella guida dell’azione a tutela del clima, questo non solo in vista del futuro prossimo in cui saranno effettivamente i giovani a soffrire e gestire le conseguenze dei vecchi processi decisionali ma perché il cambiamento climatico è, ad oggi, il più grande problema collettivo che abbiamo. Va risolto necessariamente insieme, Paesi con Paesi, generazioni con generazioni. Alla svelta.
A cura di a cura di Sofia Torlontano e Vera Lazzaro, Change the future, Movimento giovani per Save the Children.
Per approfondimenti sul tema relativo al principio di partecipazione si veda anche la sezione del sito dedicata a “Il principio di partecipazione e ascolto del minore“.
Per approfondimenti sul tema relativo all’ambiente si veda la sezione del sito dedicata a “Ambiente e salute infantile“.