Alcune considerazioni in occasione dei 30 anni della Legge n.84/1993 che ha istituito l’Ordine professionale degli Assistenti sociali e delle normative che hanno introdotto i Livelli essenziali delle prestazioni sociali (LEPS).
Negli ultimi anni, grazie a differenti norme e decreti, sono stati affermati alcuni principi importanti nel riconoscere il diritto, per tutti i cittadini, quindi anche per le persone di minore età, di disporre di interventi (prestazioni) sociali essenziali, all’interno del complesso sistema delle politiche di welfare.
Oltre al dichiarare o definire diritti e principi, finalmente, sono stati indicati alcuni Livelli essenziali delle prestazioni sociali (LEPS) a favore delle persone di età minore e delle famiglie. Questi livelli non possono essere concepiti come mera risposta settoriale, interagiscono con una domanda sociale e sociosanitaria complessa che richiede l’integrazione di più livelli di intervento. In altri termini vanno ricondotti a interventi di sistema che riconoscano la necessità di multidimensionalità e intersettorialità dei percorsi rivolti alle famiglie, alle bambine e ai bambini e agli adolescenti.
In particolare, gli interventi a favore dei minorenni e delle loro famiglie, chiedono uno sguardo che vada oltre il “bisogno” e sia orientato alla domanda di benessere di territori e di comunità. Diritti e giustizia sociale, diversità e inclusione, empowerment individuale e collettivo rappresentano gli orientamenti indispensabili per garantire le generazioni attuali e future.
La pluralità e complessità della domanda sociale richiede sicuramente un maggiore investimento in risorse umane professionali, ma il solo miglioramento quantitativo (LEPS 1 assistente sociale ogni 5.000 abitanti e obiettivo di servizio di 1 a 4000) non è sufficiente a garantire, da solo, interventi appropriati se non sono adeguatamente analizzati e valorizzati, i fattori protettivi e le risorse, i rischi e le vulnerabilità e precisati obiettivi e risultati attesi per ogni specifica situazione. Non possiamo inoltre trascurare il fatto che nel sistema famiglia convivono bisogni e risorse – spesso (entrambi) latenti – espressi in domande a volte da decodificare e intercettare – legati a differenti stili relazionali, ruoli genitoriali e ruoli sociali, a cicli vitali di ciascuno e del nucleo familiare stesso e correlati alle attese sociali e all’influenza dei più ampi processi culturali, economici, ecc. Così l’esigibilità di un diritto non si sostanzia nella mera prestazione ma nel processo che la contiene, così come un servizio sociale non si esaurisce nell’insieme dei professionisti dei quali è dotato ma richiede una strutturazione, un modello operativo che privilegi l’integrazione e l’intersettorialità, all’interno di una governance dotata non solo di risorse – professionali ed economiche – ma anche di competenze programmatorie e di co-progettazione. Il LEPS che garantisce il diritto all’accompagnamento per il miglioramento delle competenze nelle relazioni di cura genitoriale, richiede una progettualità che integri il lavoro con le famiglie e le persone minorenni, con interventi sociali e sociosanitari rivolti agli adulti e che coinvolgano risorse pubbliche e del terzo settore: risposte specifiche per specifiche fragilità e vulnerabilità personali e accordi intersettoriali tra comparti – sociale, sanitario, educativo, della giustizia – per azioni non solo riparative ma anche preventive per promuovere benessere e intercettare precocemente le sfide personali e familiari.
Di tutta evidenza, quindi, che questi interventi normativi e di prestazione, interpellano fortemente i livelli di governance e le professionalità, le risorse e il loro impiego. Si presentano come interventi ma richiedono l’attivazione di processi di cambiamento per la loro realizzazione: il Pronto intervento sociale, ad es. deve essere sostenuto da protocolli operativi integrati e da un modello organizzativo che valorizzi la continuità dell’accompagnamento, prima e dopo la condizione di urgenza, condizione che va letta non solo come esperienza individuale ma come indicatore di rischio e di vulnerabilità sociali all’interno di una determinata comunità, espressione di disagio ma anche di risorse. L’attenzione verso i professionisti rappresentata dall’inedita opportunità di accedere alla supervisione professionale e organizzativa, riconosciuta come livello essenziale, si inserisce a pieno nel percorso che da molti anni il servizio sociale professionale sta compiendo verso un costante miglioramento della qualità del proprio lavoro inteso, certo, come diritto del professionista ma soprattutto come responsabilità di competenza verso le persone e le comunità delle quali si prende cura. Le condizioni di garanzia, sopra richiamate affinché i LEPS corrispondano efficacemente ai diritti di cittadinanza, comportano anche una migliore specializzazione professionale dell’assistente sociale, a partire dalla formazione accademica. Solo tenendo presente la specificità dei temi che riguardano le famiglie e i minorenni e sviluppando costantemente le competenze di analisi dei processi sociali in atto, di programmazione, realizzazione e valutazione di esito degli interventi e delle politiche di welfare, il servizio sociale professionale può fare la propria parte nel predisporre risposte efficaci che garantiscano la partecipazione delle persone e delle comunità e l’esigibilità dei diritti.
A cura di Annunziata Bartolomei – Consiglio nazionale dell’ordine degli assistenti sociali