Il D. Lgs. 121/2018 interviene sull’esecuzione della pena nei confronti dei condannati minorenni. Dall’entrata in vigore dell’ordinamento penitenziario, con la L. 354/1975, l’ambito minorile non era stato oggetto di una specifica regolamentazione, ma risultava “assimilato” all’esecuzione della pena nei confronti degli adulti. Da tempo, dunque, una disciplina normativa ad hoc, (sorretta dall’istanza “educativa” e non rieducativa), oltre a permeare la cognizione giudiziale nel processo minorile (L. 448/1998), avrebbe dovuto essere il perno della fase esecutiva. Come statuito dalla Corte Costituzionale, l’applicazione della pena a minori non può prescindere dall’esigenza di individualizzazione e flessibilità della risposta dell’ordinamento che l’evolutività della personalità del minore e la preminente funzione educativa richiedono. L’attuale disciplina raccoglie questo principio soltanto in parte.

In primo luogo, l’intento “differenziante” del legislatore non viene convogliato nel capo del testo normativo concernente le misure alternative, le cosiddette “misure penali di comunità”. Tale locuzione introduce un diverso “nomen iuris” nell’obiettivo di dare maggiore risalto al ruolo della società nell’inserimento (non del reinserimento) del minore, ma non cancella “l’idea di corrispondenza” con le misure alternative per adulti, in quanto, più che i presupposti, mutano soltanto alcune modalità esecutive (ad esempio, si prevede che l’affidamento in prova al servizio sociale sia eseguito con detenzione domiciliare in determinati giorni della settimana). Il decreto legislativo non interviene sull'”affidamento in prova in casi particolari”, lasciando un “vuoto incostituzionale” e frustrando l’occasione di regolamentare l’istituto per i condannati minorenni. In generale, l’estensione delle norme contenute nella L. 354/1975 all’ambito minorile risulta poco sorvegliata, in quanto il legislatore non erige un argine espresso all’applicazione estensiva del modello ordinario dell’esecuzione della pena, evitando l’uso di clausole di salvaguardia (“si applicano in quanto compatibili le norme dell’ordinamento penitenziario”).

Il D. Lgs. 121/2018, invece, stabilisce una normativa specifica per l’esecuzione della pena carceraria attribuendo rilevanza allo sviluppo psico-fisico del minore e alla tutela dell’affettività. Questo si riflette nell’applicazione del principio di territorialità e, dunque, nella collocazione del minore, salvo particolari motivi, presso l’istituto più vicino al suo luogo di residenza, nella previsione di un maggior numero di colloqui rispetto al quantum previsto per gli adulti ristretti, nell’introduzione formale di visite prolungate (già di fatto praticate negli istituti penali minorili), ma, al contempo, riflette la centralità assegnata dal legislatore, anche in ambito minorile, alla pena detentiva.

L’operatività degli artt. 4-bis comma 1 e 1-bis ord. pen. nel sistema minorile ha l’effetto di conservare i “reati ostativi” come impedimento alla fruibilità dei provvedimenti di favore, in contrasto con la legge delega 103/2017 orientata “all’eliminazione di ogni automatismo e preclusione per la revoca o per la concessione dei benefìci penitenziari”. Solleva qualche perplessità l’argomentazione utilizzata dal legislatore per motivare tale scelta. Secondo quanto espresso nella relazione di accompagnamento al testo di legge, il rinvio all’art. 4 bis ord. pen. stabilito dall’art. 41 bis ord. pen. (sul carcere duro) – “norma che non può essere toccata da qualsiasi riforma penitenziaria” – costituisce il fondamento stesso dell’applicabilità dell’art. 4 bis o.p. sia agli adulti che ai minori.

Nel caso in cui fossero in esecuzione pene concorrenti per fatti commessi dalla persona da minorenne e da adulta, l’assenza di una disciplina “dedicata” rimandava alla norma generale prevista dall’art. 665 c.p.p., che stabiliva la competenza del giudice il quale aveva emesso la sentenza divenuta irrevocabile per ultima. In queste ipotesi, il D. Lgs. 121/2018 radica la competenza nel magistrato di sorveglianza minorile, cui è affidato il compito di verificare se vi siano “le condizioni per la prosecuzione dell’esecuzione secondo le norme e con le modalità previste per i minorenni, tenuto conto del percorso educativo in atto e della gravità dei fatti oggetto di cumulo”. Si tratta di una delle poche previsioni espressive dell’intento “differenziante” del legislatore che, tuttavia, confina o “proietta” tale istanza nel terreno dell’esecuzione della pena carceraria. La relega “intra moenia”.

Del resto, la salvaguardia dell’idea che una situazione concreta riguardante un minore venga disciplinata da un istituto che trovi il suo “corrispondente” o “speculare” nell’ambito dell’esecuzione della pena degli adulti non sembra “corrispondere” ad una revisione di presupposti “adultocentrici”.

 

Per approfondimenti si legga Minori in stato di detenzione o sottoposti a misure alternative

a cura di Rosaria Pirosa dell’ Associazione “Altro Diritto Onlus”. Centro di documentazione su carcere, devianza e marginalità.  http://www.altrodiritto.unifi.it