La natalità declinante sta portando a un progressivo spopolamento del paese. Le ultime proiezioni di Istat indicano che i quasi 60 milioni di abitanti potrebbero scendere a 45,8 milioni nel 2080.

Si tratta di una delle conseguenze del cosiddetto “inverno demografico”. Il tasso di natalità, ovvero il numero di nuovi nati in relazione ai residenti, è passato dai quasi 10 alla fine degli anni 2000, ai circa 8 del 2015 ai meno di 7 attuali. Una quota raggiunta a partire dal 2020, primo anno dell’emergenza Covid.

Anche se la tendenza al calo della natalità caratterizza quasi tutti i paesi europei, il nostro si distingue per la gravità del fenomeno, anche nel contesto Ue. A fronte di una media dell’Unione di 9,1 nascite ogni mille abitanti nel biennio 2020-21, in Italia la quota si è fermata a 6,8.

Si tratta della cifra più bassa tra tutti gli stati membri, un dato confermato nella rilevazione 2022. Nell’ultimo anno disponibile, il tasso di natalità nazionale (6,7 nati ogni mille residenti) è stato di 2 punti inferiore a quello europeo (8,7).

Molto lontano da paesi come Irlanda (11,2), Cipro (11,1) e Francia (10,6) dove nello stesso anno ha superato quota 10. Più vicini all’Italia risultano altri due paesi mediterranei come Spagna (6,9) e Grecia (7,3). Ma il dato nazionale è comunque inferiore anche a queste due nazioni. Persino in un contesto europeo di progressivo calo della natalità, quindi, l’Italia si distingue per un tasso più basso di quello registrato negli altri 26 stati Ue.

Questo dato oltretutto non è altro che una media. Come tale, non consente di approfondire e comprendere come il fenomeno si sviluppi sul territorio. Alcune aree del paese, come Trentino Alto-Adige, Campania e Sicilia superano ampiamente la media nazionale; mentre altre, come Sardegna e Liguria, ne sono molto lontane.

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