Le comunità di accoglienza per genitori e figli (CGF) rappresentano oggi un presidio fondamentale nel panorama del welfare italiano. Strutture che non solo offrono una casa a madri – e, più raramente, padri – in difficoltà insieme ai loro figli, ma che si propongono come luoghi di ricostruzione, dove il supporto alla genitorialità diventa una leva per la tutela dei più piccoli.
Nonostante la loro crescente diffusione, le CGF restano un fenomeno poco studiato e assente in letteratura, presentando significative differenze da regione a regione, sia in termini numerici, sia rispetto alle normative che ne regolano il funzionamento. L’ultima rilevazione ad opera del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali risale al 2020 e contava 3956 bambine/i accolte/i con un genitore in comunità (Quaderni della Ricerca Sociale n. 53) e da allora i numeri si sono persi nel passaggio al nuovo sistema SIOSS. Eppure, la richiesta di accoglienza è alta e le liste d’attesa lo confermano. Se la domanda cresce ed il ricorso a questo strumento è sempre maggiore, come mai non abbiamo dati o ricerche che ne indaghino il funzionamento? Le comunità per genitori e figli funzionano?
Per rispondere a queste domande, Open Group e l’Università di Bologna hanno promosso la prima ricerca in Italia interamente dedicata alle CGF. Un’indagine che ha coinvolto e raccolto l’interesse di tante realtà che operano su campo, appartenenti a coordinamenti nazionali, tra cui CNCA, CNCM e SOS Villaggi dei Bambini, consentendo di fare luce su un fenomeno poco esplorato e offrendo dati preziosi per chi opera nel settore.
Dai tanti dati emersi dallo studio, presentato in anteprima a Bologna lo scorso 20 febbraio, che ha coinvolto 31 comunità in tutta Italia, è stato possibile comprendere la composizione dei nuclei accolti, informazioni inedite sui percorsi all’interno della comunità e sugli esiti a breve termine. Sei famiglie su dieci sono formate da una madre con un solo figlio/a, ma esistono anche situazioni di madri con quattro, cinque o addirittura sei bambini/e. Emergono situazioni che pongono sfide enormi, sia per le donne che per le equipe educative chiamate a garantire sostegno e protezione a chi ha vissuto situazioni di estrema fragilità. Il 40% dei bambini accolti è stato esposto a violenza, il 27% ha subito maltrattamenti o trascuratezza.
Le madri accolte provengono spesso da contesti di povertà sociale e culturale e, in molte situazioni, hanno esperito traumi e sono state vittime di violenza domestica. Al momento dell’ingresso in comunità, circa l’80% di loro non lavora e non è inserita in percorsi formativi. Durante il progetto comunitario, questa percentuale si riduce di circa 20 punti percentuali, segno che l’accoglienza può rappresentare una leva per il reinserimento socio-lavorativo. Tuttavia, il mondo del lavoro resta significativamente ostico nei confronti di questi genitori: la mancanza di una rete familiare o sociale solida e la difficoltà ad accedere a posizioni lavorative stabili e ben retribuite rallentano il processo di emancipazione e il carico di cura rimane quasi esclusivamente in capo alle madri. A fronte di numerosi interventi istituzionali di cui le famiglie beneficiano, dal supporto al reddito a interventi clinici specialistici, il 40% delle famiglie non può contare su alcun supporto informale. In altre parole, fuori dalle mura della comunità molte famiglie sono sole, facendo emergere come prioritaria la costruzione e ricostruzione di legami prossimali nei territori.
Una primissima risposta alla domanda circa l’efficacia, la si trova indagando gli esiti a breve termine: nel 60% dei casi le famiglie escono da questi percorsi in condizioni migliorate, sia rispetto alla sfera genitoriale che delle autonomie personali. Un risultato incoraggiante, che però va letto con attenzione: quali sono i fattori che favoriscono un buon esito? E per quali famiglie il percorso comunitario è davvero efficace?
I prossimi step dalla ricerca contano di dare risposta a questi e ulteriori interrogativi attraverso analisi multilivello dei dati raccolti.
Proseguire nella ricerca è essenziale per comprendere quali modelli e quali pratiche portino a risultati più solidi e duraturi. L’obiettivo del team di ricerca è che le conoscenze emerse finora, e che emergeranno in futuro, possano tornare alle comunità stesse, alle famiglie e ai territori, trasformandosi in strumenti concreti per i gruppi di lavoro, incidendo sulle politiche sociali e migliorando la qualità dei servizi. Solo così si può garantire che le comunità per genitori e figli siano non solo un luogo di accoglienza, ma una vera opportunità di cambiamento per chi le attraversa.
A cura di Giorgia Olezzi, Responsabile Accoglienza Genitori e Figli, Cooperativa Sociale Open Group, CNCA – Coordinamento Nazionale Comunità Accoglienti
Per approfondimenti si veda:
La sezione del sito del Gruppo CRC dedicata a Minorenni fuori dalla propria famiglia di origine