A livello europeo cresce la pressione per rendere universale (o quasi) l’educazione tra 3 e 5 anni. L’Italia ha superato il vecchio obiettivo Ue, ma non quello nuovo. Inoltre l’istruzione pre-primaria spesso supplisce anche alle carenze nell’offerta di servizi prima infanzia.

Con la fine di giugno, come di consueto dopo la conclusione delle lezioni nelle scuole dell’obbligo, si avviano al termine anche quelle nelle scuole d’infanzia. Una fase del percorso di studio considerata sempre più centrale per la crescita dei minori.

Nell’ambito della revisione degli obiettivi sull’istruzione successiva all’emergenza Covid, l’Unione europea ha deciso di aggiornare il target. Prevedendo che almeno il 96% dei minori vi prendano parte entro il 2030.

Nel 2021 la partecipazione all’istruzione e cura della prima infanzia nella fascia d’età tra i 3 anni e l’obbligo scolastico in Italia si è attestata al 91%. Un dato positivo, se letto alla luce del primo obiettivo stabilito a livello europeo, nel consiglio europeo di Barcellona del 2002, poiché in quella sede era stato previsto che almeno il 90% dei bambini e delle bambine di 3-5 anni fosse coinvolto in attività di educazione e cura.

Rispetto però al nuovo target del 96%, l’Italia risulta molto più indietro: mancano infatti 5 punti per raggiungerlo.

Per quanto riguarda gli iscritti alle scuole dell’infanzia in Italia, nell’anno scolastico 2020/21 sono stati 1,3 milioni i bambini iscritti alle 22.476 scuole dell’infanzia sul territorio nazionale. Ovvero la quasi totalità dei minori di età compresa tra 3 e 5 anni: 1,4 milioni nello stesso periodo. Tra questi, il 72,9% risulta iscrittio in scuole pubbliche.

Bisogna sottolineare che sono soprattutto i territori del mezzogiorno a mostrare un rapporto più elevato tra iscritti all’istruzione prescolare e residenti tra 3 e 5 anni. Una tendenza che può essere attribuita anche agli anticipatari, fenomeno che – specialmente nelle regioni del sud – è spesso collegato alla carenza di posti nei servizi per la prima infanzia, oppure al costo degli stessi sui bilanci familiari.

Questa tendenza ha fatto sì che, negli anni, le scuole dell’infanzia – in gran parte statali, più capillari sul territorio e maggiormente accessibili rispetto agli asili nido – si facessero carico della domanda latente dei servizi prima infanzia.

È chiaro come gli anticipi alla scuola dell’infanzia siano spesso il sintomo di una domanda di servizi che non trova risposta adeguata nell’offerta attuale. Ciò può essere problematico perché i bambini più piccoli vengono accolti in contesto non necessariamente adeguato al loro sviluppo. E questo solo perché l’istruzione pre-primaria presenta costi più contenuti rispetto a quelli sostenuti dalle famiglie per gli asili nido.

Per questo motivo, è necessario che – in parallelo con il perseguimento dell’obiettivo del 96% – si guardi all’intera offerta educativa 0-6 anni, con un approccio complessivo. Potenziando l’offerta e l’accessibilità, in termini di costi e non solo, anche per i servizi destinati alla fascia sotto i 3 anni. Non a caso, si tratta dell’altro obiettivo recentemente innalzato dalla raccomandazione Ue.

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