È stato presentato nella mattinata mercoledì 18 giugno, nella sede nazionale dell’Ordine dei Giornalisti in via Sommacampagna a Roma, il Rapporto SOSEF-State of Southern European Fathers, un’indagine condotta da Equimundo in Portogallo, Spagna e Italia nell’ambito del progetto europeo EMiNC-Engaging Men in Nurturing Care, coordinato da ISSA-International Step by Step Association e promosso in Italia dal Centro per la Salute delle Bambine e dei Bambini.
L’indagine ha cercato di rispondere a domande fondamentali su paternità e cura nell’Europa meridionale (Chi si prende cura? Quali barriere esistono? Quale l’impatto delle responsabilità di cura sugli individui? Quali strutture di supporto esistono?) attraverso la somministrazione, tra settembre e ottobre 2024, di un questionario a 1.520 genitori con figli/e conviventi nei tre Paesi, metà donne e metà uomini, la maggioranza con un’età compresa tra i 30 e i 40 anni, sposata o convivente e con un’età media al primo parto di 32 anni per gli uomini e 29 per le donne, una percentuale significativa (44%) con figli sotto i cinque anni. In Italia hanno risposto 240 uomini e 269 donne, di tutte e 20 le regioni. Notevole la proporzione, una su quattro, di intervistati/e gravati/e da pesanti carichi di cura “sandwich” (sia verso i figli/e che verso gli anziani), ancor più alta per l’Italia (31,1% uomini, 37,5% donne).
La fotografia scattata dalla ricerca racconta di un forte cambiamento sociale e culturale in atto nell’essere padri nel Sud Europa, che li vede sempre più impegnati nella cura dei figli e delle figlie e nella gestione domestica, come caregiver corresponsabili e non solo come aiutanti, con tutti i benefici che questo comporta. Tuttavia questa spinta al cambiamento in Italia sta avanzando molto più lentamente rispetto ad altri Paesi, relegandoci a fanalino di coda non solo del Nord ma anche del Sud Europa: con il tasso di occupazione femminile più basso (53% nel 2024) e con il congedo di paternità più breve d’Europa (2 settimane contro le 16 della Spagna) l’Italia appare ferma, bloccata da barriere strutturali, sociali e normative che frenano la piena partecipazione dei padri alla cura e una sua più equa condivisione, molto più di quanto avviene nei vicini Spagna e Portogallo.
La disparità nel lavoro di cura, infatti, appare strettamente legata alle disuguaglianze nel lavoro e alla presenza di norme di genere ancora persistenti, che limitano la partecipazione economica delle donne e aumentano la sproporzione nel carico del lavoro di cura non retribuito rispetto agli uomini. In Italia la bassa occupazione femminile fa sì che le donne italiane abbiano 20 volte (il doppio rispetto a Spagna e Portogallo) più probabilità degli uomini di essere delle caregiver a tempo pieno a casa (nel campione analizzato il 18,6% delle italiane intervistate sono casalinghe a tempo pieno contro il 7,6% delle spagnole e il 4,7% delle portoghesi).
In tutti e tre i Paesi per molti genitori l’ostacolo più grande alla cura, in tutte le sue forme, è la mancanza di tempo a causa degli obblighi di lavoro. Per essere padri accudenti è necessario soprattutto avere abbastanza tempo (e denaro) e questo tempo può e deve essere garantito da congedi riservati ai padri, obbligatori, più lunghi e ben pagati, al pari delle madri (modello spagnolo).
In tutti e tre i Paesi i padri riconoscono in modo schiacciante i benefici del congedo genitoriale retribuito per loro stessi (88%), per le loro partner (90%) e per i loro figli e figlie (93%) e per due terzi concordano anche sul fatto che il congedo genitoriale dovrebbe essere uguale tra uomini e donne.
Una grande mole di studi ha messo in evidenza i tanti benefici che la presenza di padri accudenti, soprattutto nei primi mille giorni, comporta per figli e figlie (come ad esempio una significativa riduzione dei comportamenti violenti negli adolescenti maschi), per le partner e per l’intera società (si pensi solo alla prevenzione della violenza domestica), evidenze che già da sole giustificherebbero un’ampia azione riformatrice da parte della politica in Italia e che il rapporto SOSEF conferma, ma oltre alla scienza non si sta prestando ascolto alla forte richiesta proveniente dalle madri e dai padri italiani, soprattutto quelli più giovani, che chiedono di poter scegliere di diventare genitori e di essere sostenuti nel loro ruolo. È significativo, in questo senso, che il 60% delle madri e dei padri intervistati voterebbe per un partito o un politico che sostenesse un congedo genitoriale retribuito più lungo. Un dato che sale al 66% tra le madri italiane che hanno dichiarato che avrebbe dato priorità alle politiche di congedo al momento del voto.
I risultati dell’indagine SOSEF riaffermano che la politica e la cultura contano: dove le politiche di congedo retribuito per i padri sono più forti e dove le aspettative culturali sulla cura sono più progressiste, la partecipazione degli uomini alla cura è significativamente più alta. Raggiungere una reale parità ed equità di genere nella cura richiede però più della buona volontà: richiede una trasformazione strutturale, a partire dalle riforme politiche.
Il cambiamento sistemico inizia con un quadro di politiche solide che garantiscano che la cura sia ugualmente valorizzata e sostenuta per entrambi i genitori e che sia garantita la sicurezza finanziaria durante il congedo.
Altrettanto necessaria è una trasformazione del lavoro che deve essere compatibile con la cura, senza penalizzazioni o stigmatizzazioni, così come un cambiamento culturale che passi attraverso l’evoluzione delle aspettative sociali e culturali e la modifica delle narrazioni sulla mascolinità e sulla paternità.
Infine, i padri hanno bisogno del sostegno dei propri pari e della comunità, così come della approvazione sociale per approfondire il loro impegno nella cura. Perciò è importante creare reti sulla paternità e gruppi di pari, ma anche attuare da parte dei servizi pubblici (sanitari ed educativi in primis) politiche attive di facilitazione e promozione della loro partecipazione.