Il termine “sharenting” è un neologismo coniato negli Stati Uniti che deriva dalla crasi delle parole inglesi “share” (condividere) e “parenting” (genitorialità) ed è stato definito come “l’abitudine da parte dei genitori che usano regolarmente i social media di comunicare molte informazioni dettagliate riguardo i propri figli”.

Questo tema è di estrema attualità in quanto questo fenomeno è, ovviamente, strettamente legato al sempre maggiore uso dei social media ed è aumentato di pari passo con l’aumento di quest’ultimo. Tutto ciò, inoltre, lo porterà ad assumere in questi anni una rilevanza sempre maggiore dato che, in questo momento storico, i primi figli dell’era dei social media si apprestano ad entrare nell’età adulta ed a divenire genitori.

I social media appaiono alle persone come un mezzo facile per mantenersi in contatto con amici e familiari, ottenere informazioni di vario genere, condividere emozioni, pensieri ed opinioni, ricevere supporto nei momenti di difficoltà. Allo stesso modo questi appaiono ai genitori come un mezzo per ricercare informazioni utili per la crescita del proprio figlio e per condividere non solo le gioie della genitorialità ma anche le preoccupazioni, le sfide ed i momenti di tristezza che possono sopravvenire. Un ulteriore esempio dei benefici che possono derivare da tale condivisione è l’esperienza dei genitori di bambini affetti da anomalie congenite che possono trovare sui social media supporto emotivo e non solo. Oltre a questi motivi, tuttavia, ritroviamo anche delle tematiche tipiche della società contemporanea come il costante il bisogno di approvazione della propria genitorialità che i genitori percepiscono di ottenere tramite il “Mi piace” e l’utilizzo dei bambini come possibile fonte di guadagno.

Spesso, infatti, i genitori non pensano che il materiale riguardante i loro figli potrebbe essere visto da chiunque e condividono informazioni eccessivamente personali o imbarazzanti dei propri bambini; questo espone i bambini ad una serie di rischi come furto di identità, condivisione di informazioni psicosociali che dovrebbero rimanere private, condivisione di informazioni imbarazzanti che possono essere oggetto di uso improprio da parte di altri utenti e che possono portare alla derisione dei bambini e/o che potrebbero imbarazzare il bambino una volta divenuto adulto.
Un altro degli aspetti da attenzionare in questa tematica è il tema del consenso e del diritto alla privacy dei bambini perché spesso i genitori che pubblicano foto dei figli non li hanno consultati prima di condividere online contenuti che li ritraggono.

Come anche suggerito in un articolo pubblicato su JAMA Pediatrics, la Società Italiana di Pediatria (SIP) sottolinea come i pediatri possano avere un ruolo importante nel rendere i genitori consapevoli di questa tematica e come possano inoltre aiutarli e guidarli al fine di effettuare una condivisione di contenuti più sicura e rispettosa della privacy del bambino. Per raggiungere tale scopo la SIP suggerisce dunque alcune indicazioni da usare nella pratica clinica, e non solo, invitando genitori e parenti a:

– Familiarizzare con le policy e le regole relative alla privacy dei siti sui quali condividono contenuti

– Attivare notifiche che li avvisino quando il nome dei loro figli appare nei motori di ricerca

– I genitori che scelgono di condividere informazioni riguardanti i comportamenti dei figli dovrebbero considerare di farlo anonimamente

– Essere molto cauti nel condividere la localizzazione attuale o il nome completo dei loro figli

– Non condividere immagini che mostrano i loro figli in qualsiasi stato di nudità

– Considerare gli effetti che la condivisione online può avere sul senso di sé e sul benessere attuale e futuro dei bambini.

 

 

A cura di Pietro Ferrara, Società Italiana di Pediatria (SIP)

 

 

La documentazione è disponibile al seguente link.

Per approfondimenti si veda la sezione del sito dedicata a Il diritto delle persone di minore età all’accesso a informazioni appropriate: minorenni, media e nuovi media in Italia