Il divario tra nord e sud, nei vari ambiti di indagine di numerose ricerche condotte in Italia, non è certo una novità.

Dall’ analisi sul raggiungimento delle competenze scolastiche in italiano matematica e scienze, dai dati sulla distribuzione dell’abbandono scolastico,  della  povertà educativa, delle opportunità di svolgere in modo continuativo un attività sportiva, del drop-out sportivo in età precoce, delle carenze strutturali per l’apprendimento informale che negano ai bambini del sud Italia gli spazi fondamentali alla relazione e all’ incontro in cui agire stili di vita sani, si evince con chiarezza quanto la forbice della disuguaglianza tra nord e sud Italia continui ad allargarsi in modo spaventoso e non più sostenibile. In questa cornice è molto semplice capire quali conseguenze ha per un bambino e una bambina, nascere nel posto “sbagliato”.

La fotografia di estrema sintesi in una delle ultime indagini realizzata da Svimez e da Uisp, con il sostegno di Sport e Salute SpA “Il costo sociale e sanitario della sedentarietà”, aggiunge un dato interessante riguardo all’  impatto economico sul sistema sanitario nazionale in riferimento alla mancata pratica fisica e sportiva nei minori: una vita sedentaria vede ridotta la propria spesa sanitaria di 97 euro. Al sud un minore su 3 nella fascia tra i 6 e i 17 anni è in sovrappeso, rispetto ad un  minore su 5 nel Centro-Nord con conseguenze drammatiche per la loro salute fisica e psichica. Non dimentichiamoci infatti che il corpo è la cassa di risonanza della psiche e lo sport e il movimento, sono molto più di una disciplina da imparare e mettere in pratica: attraverso essi si sviluppa l’empowerment personale e di gruppo, si instaurano relazioni, si sviluppano nuove competenze, si libera la mente, si costruisce la personalità.

Il paradosso di un emergenza certamente complessa,  per la quale sono state attivate strategie, politiche pubbliche, strumenti a livello comunitario e nazionale che però non sono state sufficienti per ridurre le diseguaglianze fra nord e sud. Forse allora quello che si fa deve essere fatto meglio: la battaglia contro la sedentarietà per diffondere corretti stili di vita è una sfida che dobbiamo cogliere, individuando  le opportunità a disposizione per ridisegnare insieme un sistema diverso che possa dare le giuste risposte.

In un mondo ideale basterebbe intervenire con giuste risposte su  tre livelli:

  1. Strutturale, per rispondere al problema dell’impiantistica sportiva che al sud è molto carente.
  2. Fiscale, per agevolare le famiglie  a sostegno della pratica motoria e sportiva per i loro figli e figlie:
  3. Culturale per trasmettere una nuova cultura del movimento che, partendo dalla scuola, possa incidere sul ruolo dell’attività motoria e fisica come strumento di apprendimento anche per le discipline più “da banco”.

Sembra facile, ma nel mondo reale, il cambiamento culturale sul ruolo del movimento e dello sport in ambito educativo e di ben-essere, necessita sicuramente di un salto di qualità. “Tutta l’educazione è fisica”, diceva Giammario Missaglia e infatti lo sport rappresenta la terza agenzia educativa dopo le famiglia e la scuola. Ma non basta.

Non basta quando per sport si intende esercizio di restrizione del corpo, selezione, addestramento e specializzazione precoce. Non basta quando le regole dello sport diventano più importanti della motivazione al movimento creando insoddisfazione, disistima, paura, senso di inefficacia che portano all’ abbandono precoce della pratica sportiva. Non basta quando insieme alla carenza si strutture sportive all’ avanguardia non riusciamo a vedere lo sport dentro le aree pubbliche, i luoghi dismessi e abbandonati e intorno ai beni comuni, ma riusciamo a immaginarlo solo negli spazi definiti di un campo di gioco.

Non basta riconoscere che lo sport è un diritto, perché in realtà è un privilegio di tutte quelle famiglie che non devono pensare ogni giorno a mettere insieme il pranzo con la cena. Non basta,  se lo sport  si prende cura dei giovani solo nel momento in cui c’è da “tirar fuori” un campione (tra gli under 16 residenti nel Mezzogiorno  compare un considerevole divario nella pratica sportiva agonistica pari all’8,6, tre volte inferiore rispetto al Centro Nord) e non si prende cura di quei giovani che nello sport non troveranno le medaglie, ma qualcosa di molto più importante: il loro riscatto sociale.

Non basta avere la figura professionale esperta di attività motoria dentro le nostre scuole primarie se su 40 ore settimanali di attività didattica, l’attività motoria viene svolta per un ora soltanto a settimana, sempre che la scuola abbia a disposizione spazi idonei.

E infine non basta la figura esperta perché i nostri bambini e le nostre bambine “imparino” gli stili di vita sani e attivi. Non basta perché ci sono cose che non possono essere né prescritte né insegnate: una di queste è la voglia di praticare sport, l’altra è uno stile di vita sano e attivo. Il cambiamento dei comportamenti è generato da una presa di coscienza e per favorire la presa di coscienza individuale è necessario cambiare la cultura materiale.

È necessario creare opportunità, perché siamo fuori tempo massimo.

 

A cura di Loredana Barra,  Responsabile politiche Educative e Inclusione UISP

 

Per approfondimenti si veda anche: https://gruppocrc.net/?s=paragrafo+sport