“Il momento cruciale è quando si comincia ad intravedere la via su cui condurre il paziente. Quando mi portano un bambino […], io non so mai qual è la prima domanda che gli farò. Lo guardo, lo saluto, […], e poi mi viene in mente la prima domanda; scendo così al suo livello di comunicazione, con umiltà […], mentre in me c’è uno sdoppiamento: un io che osserva e un io che conversa […], a volte è un attimo, altre volte è un fatto sofferto, altre volte ancora è una ricerca”.
Se si volesse formulare un concetto univoco con il quale esprimere la natura del consenso informato ai trattamenti sanitari in età evolutiva, difficilmente si potrebbe trarre ispirazione dalla singola linea guida internazionale, dal più approfondito parere bioetico, dal più aggiornato indirizzo del legislatore senza tener conto di queste parole scritte nel 2003 da Giovanni Bollea che sono sempre di grande attualità. In queste parole si percepisce tutta la tensione di una ricerca empatica, di quel “sentire insieme”, finalizzata alla costruzione di un’alleanza che, in un triangolo operatore-minore-genitori, costituisce il presupposto di un ascolto reciproco in un processo dapprima informativo e quindi decisionale condiviso, sia esso di natura terapeutica o non.
Nella pratica clinica quotidiana di un pediatra raggiungere sempre (e sempre con umiltà) il livello di comunicazione dei nostri piccoli interlocutori costituisce spesso una sfida. Resta comunque ogni volta strabiliante la fiducia che si genera quando si stabilisce quel “contatto”. Accade che tra pianti profusi alla vista del camice basti appoggiare il fonendoscopio su di una manina di 3 o 4 anni per far comprendere che la successiva auscultazione del torace non farà male, o far vedere la propria gola, per ispezionarne il faringe, non senza qualche ilarità reciproca. Ma aveva ancora una volta ragione il Professore Bollea quando sosteneva che quel contatto, quella comunicazione, a volte sono “fatti sofferti”.
Nella vita di ogni medico ci sono episodi in cui è vivo il ricordo personale o quello di un Collega con gli occhi gonfi dopo il colloquio con un’adolescente cui aveva appena finito di esporre la necessità di crioconservare il suo tessuto ovarico per preservarne la funzione riproduttiva in vista del trattamento chemio- e radioterapico. E di questi esempi se ne potrebbero condividere molti.
Tuttavia, questi pochi episodi restituiscono l’idea di quanto il tema del consenso del minore ai trattamenti sanitari sia complesso e sfaccettato su molteplici profili di natura giuridica, medica, etica, sociale e morale. Diversi ad esempio sono gli organi che hanno nel tempo tentato di definire con maggiore precisione la relazione tra età e capacità di comprensione e, nonostante la giurisprudenza, codici deontologici e pareri di natura bioetica, finiscano per restituire orientamenti generali. Resta ben specificato nel 2° Rapporto Supplementare del Gruppo CRC, come, nel nostro Paese, sia assente una regolamentazione normativa sistematica che ne indichi principi, peculiarità, nonché corrette modalità di somministrazione ed acquisizione. Queste peraltro dovrebbero essere oggetto di formazione specifica già nelle nostre Scuole di Specializzazione, non essendo affatto scontato che tutti i professionisti dell’età evolutiva siano implicitamente predisposti alla somministrazione/rilevazione.
E’ utile quindi guardare con interesse a quanto avviene anche in altri paesi. Negli USA ad esempio, dopo un ampio dibattito, l’American Accademy of Pediatrics [1] ha aggiornato dopo oltre 20 anni le proprie raccomandazioni, segno altresì indiretto di quanto intenso sia stato il confronto sul tema. Il nuovo statement rilasciato ad Agosto 2016 tuttavia non perde lo spirito con cui era stato originariamente concepito facendo cardine per l’intero processo su esperienza, visione e capacità dei bambini ad essere coinvolti nel processo terapeutico in maniera commisurata al loro sviluppo; concetto quest’ultimo da intendersi intrinsecamente correlato a un processo evolutivo di discernimento e di autonomia decisionale. Ciò, senza che venga a mancare quella stretta collaborazione tra paziente, genitori e pediatri a garanzia dell’alleanza terapeutica, ma soprattutto senza caricare o demandare ai primi una responsabilità superiore che possa essere causa di lacerazioni.
Nelle nuove raccomandazioni, per la prima volta, vengono proposti pochi, ma incisivi aspetti pratici che possono essere sintetizzati in: a) Aiutare il paziente a raggiungere una consapevolezza della condizione patologica in maniera conforme al proprio sviluppo; b) Comunicare al paziente cosa può attendersi dagli esami e dai trattamenti; c) Eseguire una valutazione clinica sulle capacità di comprensione del paziente evidenziando anche quei fattori che possano influenzarne la risposta (inclusi eventuali inappropriate pressioni ambientali nell’accettare di sottoporsi o meno a un test e/o a una terapia); d) Stimolare l’espressione della volontà del paziente nell’accettazione della cura proposta.
Si tratta di una novità di non poco conto poiché presupposto alle stesse raccomandazioni che, tra aspetti etici e legali in un mondo in continua evoluzione scientifica e tecnologica, possono variare nel merito, ma non nel metodo e ne restituiscono un esempio virtuoso ed attuativo di quanto la stessa CRC stabilisce sul diritto del minore a «esprimere liberamente la sua opinione su ogni questione che lo interessa […] tendendo conto della sua età e del suo grado di maturità» (art 12 comma 1).
La Società Italiana di Pediatria si avvale da anni un Comitato di Bioetica che contribuisce in maniera rilevante non solo alla produzione di documenti, ma alla crescita costante della sensibilità di tutti i soci su temi così rilevanti e pervasivi della quotidiana attività del Pediatra.
Le Società Scientifiche e le associazioni sono quindi chiamate a fare la propria parte non sottraendosi a quel ruolo di advocacy dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, in un confronto di certo il più ampio e condiviso, ma su di un tema così importante per la nostra Società che al contempo non può più essere procrastinato.
A cura di Alberto Villani e Davide Vecchio – Società Italiana di Pediatria
Per maggiori approfondimenti vedere il paragrafo su consenso informato a questo link