Non deve trarre in inganno la quasi quotidiana notizia che annuncia l’apertura di un parco giochi accessibile. Misconosciuto, inevaso, dimenticato, il diritto al gioco per il bambino con disabilità rimane ancora oggi trascurato dall’adulto che cura, accompagna, cresce con il bambino.
Riconosciuto come bisogno primario per lo sviluppo neuromotorio come avere cibo, un tetto sotto cui abitare e l’avere a disposizione cure sanitarie, il gioco, l’attività ludica, restano esperienze sporadiche sia che il bambino le viva da solo o con gli altri. Ancora oggi, mentre si riconosce l’importanza di un intervento riabilitativo precoce e della piena inclusione scolastica, le politiche socioeducative così come talvolta il progetto di cura e di vita del bambino con disabilità, non intravedono l’urgenza di un piano d’azione efficace e costruttivo per porre il bambino al centro di un’esperienza ludica vera.
La verità di un gioco è quello data dal suo obiettivo unico: piacere, godimento, divertimento. Non si è quindi di fronte a percorsi di play therapy o di terapia occupazionale a matrice ludica ma alla possibilità di garantire ad un bambino con tetraparesi o con disabilità intellettiva o sensoriale, un tempo di gioco comprensibile, un giocattolo fruibile, uno spazio di partecipazione.
Perché garantire questo diritto implica un impegno che abbraccia più attori e più ambiti. Piani di zona dell’ente locale che devono mettere in agenda progettualità e risorse, imprese e aziende del commercio che non abbiano paura a immettere nel mercato oggetti/giocattoli negli equilibri del design for all, la scuola che recuperi il gioco come bisogno biopsicologico della mente del bambino con disabilità, percorsi di parent training che accompagnino madri e padri alla possibilità di un recupero funzionale relazionale ed affettivo (non doloroso) nonché comunicativo nelle dinamiche del gioco con il proprio figlio, università e agenzie formative che prevedano ricerca e quindi formazione ad hoc.
Spesso i bambini e i ragazzi disabili restano invisibili agli occhi del mondo, e ne è prova l’ultimo rapporto Unicef del 2013 sul tema della disabilità dal titolo “Condizione dell’infanzia nel mondo 2013 – Bambini e disabilità”, che evidenzia come in Italia i dati che li riguardano siano scarsi: «I bambini e gli adolescenti con disabilità e le loro famiglie sono troppo spesso invisibili – nelle statistiche, nelle politiche, nelle società».
Ancor più, purtroppo, mancano dati sia a livello nazionale che locale su come i bambini disabili gestiscono il loro tempo libero: quanto giocano? con chi e dove giocano? che tipo di giochi fanno? hanno accesso a discipline sportive? Con i coetanei o in gruppi composti solo di persone con disabilità? E poi, dopo la scuola quante volte un bambino con disabilità è invitato a giocare a casa di un compagno?
Un’altalena in un parco su cui può inserirsi una carrozzina non risolve il diritto al gioco per i bambini con disabilità.
Quali facilitatori mettere in atto perché un bambino con disturbo dello spettro autistico si diverta e non cada in un movimento stereotipato? Quali strategie pensare perché un bambino non vedente partecipi ad un gioco all’aperto? Come ripensare e modificare un gioco da tavolo perché un bambino con disabilità intellettiva comprenda regole e successo? Che caratteristiche deve avere uno spazio gioco?
Il documento di studio e proposta “Il diritto al gioco e allo sport dei bambini e dei ragazzi con disabilità” frutto di un gruppo di lavoro attivato nell’ambito della Consulta nazionale delle associazioni e delle organizzazioni, presentato ieri a Roma dall’Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza, è una buona occasione per iniziare a riflettere su nuovi orizzonti di welfare, benessere educativo, cultura della disabilità.
Per approfondimento si veda la sezione del sito dedicato a Il diritto al gioco e allo sport e la sezione dedicata a Bambini e adolescenti salute e disabilità
Carlo Riva, Associazione L’abilità Onlus